di Gioia Corrà - maggio 2019
Durante il lavoro con i bambini o ragazzi, da educatori ci si trova a volte a dover affrontare la sfida di una relazione che non si riesce ad instaurare, di ragazzini definiti “oppositivi”, che non accettano le indicazioni degli adulti. L’adulto si trova spiazzato, il ragazzo risponde malamente, si arrabbia, non si sente capito e l’adulto si sente frustrato e non si sente riconosciuto nel suo ruolo.
Quello che ho osservato è che spesso si pretende un rispetto che proviene dall’alto, basato sulla sola esistenza di ruoli diversi: io sono l’autorità e pretendo che ti sia stato insegnato il rispetto, che tu mi rispetti. E questo è un tipo di visione di certo accettabile, un po’ anacronistica forse, se oggi pretendiamo che i piccoli, i giovani abbiano anche una voce e siano in grado di confrontarsi e fare riflessioni personali. Il rispetto di cui parliamo qui è quello che sarebbe necessario fra qualsiasi tipo di persona in questa umanità, ma forse non è sufficiente in questo tipo di lavoro. O meglio, forse si può fare di più e, molto probabilmente, ne vale la pena.
Io credo che prima che un nostro “no” possa valere ed essere preso in considerazione da un bambino o da un adolescente, prima che possa essere valutato con un certo peso, essere temuto anche, debba essere preceduto da tanti “sì”. E non parlo di quei sì, del tipo: ti do tutto quello che chiedi, fa quello che vuoi. I sì di cui parlo io significano: Sì - mi interessa di te, sì - ti prendo in considerazione, sì - ti credo, sì - ti ascolto, sì - ti chiedo altro, cosa hai fatto, cosa ti piace e cosa no, sì - ti racconto anche di me, perché anch’io a volte non ho voglia, sono stanca, anch’io come te a volte sento il peso della fatica, sì - ti posso capire. E attenzione, questo sì non è necessariamente il “sono d’accordo con te a tutti i costi”, sarebbe innaturale e non sempre educativo. Serve uno sforzo in più, di comprensione del punto di vista altrui, che fa sentire la persona accettata e oggetto di interesse.
Non sempre si è pronti a questo, però. Questo atteggiamento può avere un costo, può richiedere di mettere da parte il proprio orgoglio, il bisogno di quel tanto decantato “rispetto” a tutti i costi, che proviene dall’età, dalla posizione lavorativa o sociale ottenuta, richiede a volte l’abbassarsi e il sedersi accanto, come persone allo stesso livello di umanità. Anche per ottenere il rispetto c’è bisogno di tutti questi sì prima. C’è bisogno di relazione. Una relazione che passa attraverso l’interesse genuino e la condivisione. Quindi forse bisogna prendersi del tempo per parlare d’altro prima, per conoscersi, per capirsi, per costruire la relazione, una base in cui ogni sì e ogni no acquisiranno un peso diverso e potranno avere valore, senza tuttavia intaccarla.
E mi rendo pienamente conto che non è sempre facile, che a volte non c’è tempo, e che, quando c’è tempo, alcune relazioni mettano molto alla prova. Ma sono convinta che i possibili risultati valgano lo sforzo.
Se non si passa attraverso questi sì, può essere che un no abbia comunque effetto, ma in che modo? Potrebbe avere l’effetto di un divieto, di un obbligo, di un blocco esterno. Il ragazzo potrebbe sentirsi incompreso, potrebbe pensare: “Tu, adulto, non mi conosci, non conosci la mia posizione, le mie idee, non sai perché io sono arrivato a pensare questo, quali esperienze mi hanno portato al comportamento o al pensiero che tu, con il tuo “no”, mi vuoi negare”. E questo potrebbe generare rabbia, allontanamento.
Se lasciamo spazio a questi sì, invece, il no non lascerà un senso di incomprensione, della fine di una relazione, ma si inserirà comunque in un contesto di accettazione, comprensione e rispetto. Dove rispetto non è solo quello verso l’adulto autoritario, ma il rispetto pieno tra due persone che, anche se a volte in disaccordo, si accettano e cercano di comprendere le diverse posizioni, per poi migliorarle, per adattarsi, per costruirsi vicendevolmente, senza la sensazione di essere obbligati a farlo.
Quello che ho osservato è che spesso si pretende un rispetto che proviene dall’alto, basato sulla sola esistenza di ruoli diversi: io sono l’autorità e pretendo che ti sia stato insegnato il rispetto, che tu mi rispetti. E questo è un tipo di visione di certo accettabile, un po’ anacronistica forse, se oggi pretendiamo che i piccoli, i giovani abbiano anche una voce e siano in grado di confrontarsi e fare riflessioni personali. Il rispetto di cui parliamo qui è quello che sarebbe necessario fra qualsiasi tipo di persona in questa umanità, ma forse non è sufficiente in questo tipo di lavoro. O meglio, forse si può fare di più e, molto probabilmente, ne vale la pena.
Io credo che prima che un nostro “no” possa valere ed essere preso in considerazione da un bambino o da un adolescente, prima che possa essere valutato con un certo peso, essere temuto anche, debba essere preceduto da tanti “sì”. E non parlo di quei sì, del tipo: ti do tutto quello che chiedi, fa quello che vuoi. I sì di cui parlo io significano: Sì - mi interessa di te, sì - ti prendo in considerazione, sì - ti credo, sì - ti ascolto, sì - ti chiedo altro, cosa hai fatto, cosa ti piace e cosa no, sì - ti racconto anche di me, perché anch’io a volte non ho voglia, sono stanca, anch’io come te a volte sento il peso della fatica, sì - ti posso capire. E attenzione, questo sì non è necessariamente il “sono d’accordo con te a tutti i costi”, sarebbe innaturale e non sempre educativo. Serve uno sforzo in più, di comprensione del punto di vista altrui, che fa sentire la persona accettata e oggetto di interesse.
Non sempre si è pronti a questo, però. Questo atteggiamento può avere un costo, può richiedere di mettere da parte il proprio orgoglio, il bisogno di quel tanto decantato “rispetto” a tutti i costi, che proviene dall’età, dalla posizione lavorativa o sociale ottenuta, richiede a volte l’abbassarsi e il sedersi accanto, come persone allo stesso livello di umanità. Anche per ottenere il rispetto c’è bisogno di tutti questi sì prima. C’è bisogno di relazione. Una relazione che passa attraverso l’interesse genuino e la condivisione. Quindi forse bisogna prendersi del tempo per parlare d’altro prima, per conoscersi, per capirsi, per costruire la relazione, una base in cui ogni sì e ogni no acquisiranno un peso diverso e potranno avere valore, senza tuttavia intaccarla.
E mi rendo pienamente conto che non è sempre facile, che a volte non c’è tempo, e che, quando c’è tempo, alcune relazioni mettano molto alla prova. Ma sono convinta che i possibili risultati valgano lo sforzo.
Se non si passa attraverso questi sì, può essere che un no abbia comunque effetto, ma in che modo? Potrebbe avere l’effetto di un divieto, di un obbligo, di un blocco esterno. Il ragazzo potrebbe sentirsi incompreso, potrebbe pensare: “Tu, adulto, non mi conosci, non conosci la mia posizione, le mie idee, non sai perché io sono arrivato a pensare questo, quali esperienze mi hanno portato al comportamento o al pensiero che tu, con il tuo “no”, mi vuoi negare”. E questo potrebbe generare rabbia, allontanamento.
Se lasciamo spazio a questi sì, invece, il no non lascerà un senso di incomprensione, della fine di una relazione, ma si inserirà comunque in un contesto di accettazione, comprensione e rispetto. Dove rispetto non è solo quello verso l’adulto autoritario, ma il rispetto pieno tra due persone che, anche se a volte in disaccordo, si accettano e cercano di comprendere le diverse posizioni, per poi migliorarle, per adattarsi, per costruirsi vicendevolmente, senza la sensazione di essere obbligati a farlo.